Qualche giorno fa sono stato chiamato a relazione all’interno di una Assemblea d’Istituto del problema del doping. Ad invitarmi sono stati i ragazzi e già questa circostanza mi ha molto colpito, ma a colpirmi ancor di più è stata l’attenta platea di 600 studenti di una scuola superiore che in più di due ore di intervento, mio e dell’esperta internazionale, la Professoressa Anna Di Giandomenico, hanno seguito con attenzione, senza il minimo brusio. Questa doverosa premessa per dirvi che molto spesso parliamo dei giovani di oggi come soggetti avulsi dal contesto sociale, concentrati sui propri smartphone e molto spesso dediti allo sballo. Anche le cose positive quindi, vanno rimarcate, perché tra i nostri giovani, anche se presi in massa possono manifestarsi come ragazze e ragazzi pensanti e riflessivi. Di seguito alcune riflessioni che condiviso con i ragazzi, scusandomi anticipatamente per la “non brevità” del testo e rimanendo, come sempre, in attesa delle vostre utili considerazioni.
Il tema del doping resta uno dei più antichi e irrisolti problemi morali, sanitari e di alterazione delle competizioni che riguardano lo sport e non solo… oggi non solo è praticato da singoli atleti e da squadre ma anche dagli Stati. Rappresenta un esempio chiarissimo di come la mentalità della “vittoria a tutti i costi” abbia corrotto lo sport portandolo alla violazione delle sue regole costitutive. In questi casi, più che le abilità dello sportivo o l’allenamento conta di più il potere di chi cerca di migliorare le proprie prestazioni con tutti i mezzi possibili e immaginabili. Il corpo degli sportivi viene degradato a oggetto sottomesso all’efficacia della medicina. Nelle valutazioni etiche del fenomeno del doping entrano in gioco problematiche che vanno dalla questione dei limiti, alla “manipolazione” del corpo alla controversia tra “natura” e “cultura”, dalla distinzione tra “recuperare” e “migliorare” il normale funzionamento dell’organismo. Tutto ciò chiama in causa le ambiguità latenti nel concetto di malattia al valore della ricerca biomedica e farmacologia quando viene applicata al mondo dello sport.
Nel corso degli anni si sono creati percorsi formativi-educativi in ambito professionistico ed amatoriale ma sono ancora carenti in quelli dove appare più drammatico il fenomeno del doping, e cioè le palestre di “fitness” e “body Building”. In questi ambienti, infatti, se pur in genere manca l’aspetto della slealtà sportiva, entrano in gioco altri aspetti particolarmente negativi. Anzitutto la straordinaria passività ai farmaci - anabolizzanti o altro - che vengono impiegati con dosi che sembrano esagerate persino in zootecnia (da cui spesso vengono mutuati) e che quindi espongono a gravi e permanenti rischi per la salute. L’utilizzo dei farmaci è aspecifico per cui presentano un gran numero di effetti collaterali indesiderati che sono accettati dalla medicina, a scopo terapeutico. Tale accettazione è inammissibile nel caso degli atleti per i quali i medesimi effetti collaterali si traducono in danno alla salute. La velocista Flo Griffith che contrasse una malattia infettiva per abuso di ormone della crescita estratto da cadavere aveva detto: “Quando arrivi sempre seconda, vuoi accet- tarlo o tentare di diventare la numero uno.” Morì a 39 anni.
Va chiarito che essere dopati è diverso dall’essere drogati perché la maggior parte delle volte il doping è dato dall’assunzione massiva di farmaci e non di sostanze stupefacenti. I giovani che si accostano allo sport non hanno solo il diritto di essere informati sui rischi fisici della assunzione di sostanze illecite, ma anche quello di essere formati ai valori etici dello sport che si riassumono in quello fondamentale del rispetto del proprio corpo e verso i diritti altrui. Una direttiva dell’Unione Europea del 1994 (94/33 CE), volta alla protezione del lavoro minorile, cita nell’art. 5 “le attività culturali e simili”, tra le quali figurano le attività sportive dei bambini e degli adolescenti per i quali riveste un problema particolarmente drammatico: spesso sono ingannati con la falsa storia degli “integratori”, che preludono al vero e proprio doping. Può avere l’adolescente la serenità di giudizio, la maturità psichica e la forza morale per resistere alle lusinghe che, a vari livelli e con diverse modalità gli vengono da allenatori, dalle società sportive, e spesso anche dalle famiglie? In una indagine seguita in Italia su 1015 atleti e 206 tra allenatori, massaggiatori e medici sportivi, risultava che il 30% degli atleti ed il 21% dei medici era favorevole alla pratica del doping. Circa il 10% degli atleti ammetteva l'uso di anfetamine e anabolizzanti, Il 7% il “blood doping”, il 2% l'uso di betabloccanti, il 62% riferiva di avere subito pressioni; più del 70% riferiva di avere facile accesso a sostanze illegali; ma l'82%, si dichiarava favorevole ad un maggiore controllo. Dati che ci indicano con chiarezza, se non altro, che il doping sia una opzione alla portata degli sportivi italiani. In America la situazione ben peggiore.
In alcuni sport che utilizzano mezzi meccanici (ciclismo, motociclismo, formula uno) il fair play è messo in crisi da frodi e doping tecnologico. Queste frodi possono essere messe in pratica dal singolo atleta, ma anche da un gruppo più ampio, con l’aiuto dei meccanici e sollecitato dai finanziatori e gestito su larga scala. Si usa il termine doping amministrativo, invece, per indicare una cattiva gestione dei bilanci societari, servendosi di trucchetti vari e artifizi allo scopo di portare il bilancio in pareggio, nascondendo situazioni debitorie. La modalità probabilmente più conosciuta in questo ambito è costituita dalla creazione di plusvalenze. In sostanza, mediante la compravendita di alcuni giocatori, magari un paio di buono ed altri di minor livello, si alterano le entrate societarie e si fa risultare di essere in attivo, servendosi non di rado di “valutazioni”, di perizie artificiose, ecc. Questo permette di evitare fallimenti, rimanere nei parametri imposti dalle Federazioni nazionali o internazionali e di pagare i debiti. Ovvio che prima o poi il problema salterà fuori, quasi di sicuro, ma si spera di rimandare il tutto a epoche successive, quando magari la società sarà già stata prelevata da altri.
Come sostiene il recente documento “Dare il meglio di se” del Pontificio Consiglio per i Laici del Vaticano, “per combattere il doping, fisico, tecnologico, e amministrativo, sostenere il fair play nelle competizioni sportive, non basta appellarsi alla morale individuale degli atleti. Il problema del doping non può essere imputato soltanto al singolo sportivo, per quanto sia da biasimare.” È infatti un problema più complesso dove è compito delle organizzazioni sportive creare regole certe e condizioni organizzative di base per sostenere e motivare gli sportivi nella loro responsabilità e ridurre qualsiasi tentazione di ricorre al doping. In un mondo globalizzato come lo sport, servono sforzi internazionali concreti e coordinati. Altri soggetti che esercitano un’influenza significativa sullo sport, come i media, la finanza e la politica, dovrebbero essere coinvolti.
Anche gli spettatori devono tenere presente quanto le loro continue aspettative di miglioramento delle performance e il desiderio di super-spettacolarizzazione degli eventi sportivi spingano gli attori dello sport a doparsi fisicamente o ad “attrezzarsi” per sviluppare tecnologie sleali.
Non ci si può opporre ai cambiamenti ma si deve valutarne l'impatto nella pratica sportiva. Non c'è dubbio che la commercializzazione ha favorito l'espansione della pratica sportiva, anche di quella non direttamente coinvolta dal fenomeno della commercializzazione. Dunque, l’interesse commerciale è oggi una condizione della pratica sportiva che può dar luogo a comportamenti sbagliati, ma che in se non è sbagliata e che sarebbe comunque illusorio pensare di eliminarla. Se si dedicano gli anni formativi allo sport, qualcuno dovrà provvedere a costruire un futuro tranquillo per l'atleta e non indurlo a fare cattivi pensieri che lo portino a facili lusinghe. Naturalmente le grandi organizzazioni sportive nazionali e internazionali sono consapevoli che è impossibile tornare alla fase romantica dello sport e l’aggettivo “eccessiva” unito a “commercializzazione” mette subito in chiaro che il consiglio d'Europa e il CIO hanno accettato l'idea che l'ingresso nell'ambito sportivo di interessi economici non sia da giudicare del tutto negativamente.
Se è vero che lo sport professionistico è primato, affermazione, spettacolo e lo sport amatoriale è scuola di vita, salute, amicizia il doping che è una pratica sempre da condannare, e lo è doppiamente nello sport amatoriale, con particolare riguardo ai giovani. L'assurdità del doping lo è pertanto doppia laddove viene utilizzato per l'unico gusto di autoaffermarsi sopraffacendo illecitamente gli avversari. I tifosi o genitori non sono elementi esterni allo sport. Essi sono partecipi del progetto educativo della società sportiva e come tali, senza “invadere il campo” sono chiamati ad orientare, a riprendere, a rimarcare i comportamenti virtuosi che riguardano la responsabilità sociale e non le vittorie della propria società.
Si fa presto a pensare che il doping genera, ingiustamente, vincitori e sconfitti ma esso invece produce solo perdenti. E lo sport in questo è ancora metafora della vita, basti pensare a tutti quelli che, per raggiungere un obiettivo e superare i propri competitor ricorrono ad amicizie altolocate, titoli falsi nei curriculum, ecc. per capire che questo fenomeno non riguarda solo chi sta nel mondo dello sport ma che rappresenta il lato buio dell’uomo. E quando qualcuno si ritrova ingiustamente a ricoprire un ruolo nella società può fare veramente seri danni.
Angelo De Marcellis
Presidente Regionale CSI Abruzzo
Centro Sportivo Italiano
Comitato Regione ABRUZZO
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