Etica e sacrificio nello sport (2): i dirigenti come promotori e i sostenitori come garanti dei valori
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Pubblicato Venerdì, 15 Giugno 2018 10:15
Nello sport hanno grande protagonismo gli atleti, hanno grandissimo protagonismo gli allenatori. Ne ho scritto la scorsa settimana. Sono figure centrali e va bene così ma ritengo che il ruolo del dirigente sia sempre più spesso messo in secondo o terzo piano rispetto alla sua reale importanza. Il dirigente è colui che dà la direzione, che indica gli obiettivi, che dice come raggiungerli e con quali strumenti. Quando un dirigente afferma la sua autorevolezza e promuove uno stile etico interno della società sportiva svolge pienamente il suo ruolo. Nello sport si compie un errore affermare che i sostenitori, che talvolta sono tifosi o genitori, sono elementi esterni allo sport. Essi sono partecipi del progetto educativo della società sportiva e come tali, senza “invadere il campo” sono chiamati ad orientare, a riprendere, a rimarcare i comportamenti virtuosi che riguardano la responsabilità sociale e non le vittorie della propria società. Purtroppo l’opinione pubblica, il pensiero dominante, vuole imprese epiche e non imprese etiche. E questa lettera di differenza spinge talvolta a compiere atti contro ogni norma di buon comportamento. Tra le figure sportive che stimolano, o dovrebbero stimolare l’etica dello sport c’è quella dell’arbitro, che chiamato a far rispettare le regole e, nel CSI, anche ad indirizzare il gioco verso i binari della correttezza.
Lo sport concepito secondo un etica cristallina orienta le grandi scelte etiche di chi ha ruoli di responsabilità. Ma l’etica non è quel moto dell’animo che ci spinge solo a “fare il giusto” ma quello che ci fa “fare bene il giusto”. E per fare questo, per raggiungere obiettivi, vi è la necessità di maggiori sacrifici, fare scelte etiche è quindi certamente più faticoso nel breve periodo ma, di massima, premia nel lungo termine. Il CSI promuove uno stile di sport ispirato la centralità della persona: non l’obiettivo assoluto di ricerca della Vittoria. Perseguire l’obiettivo sportivo è solo il mezzo per educare, per socializzare, per vivere un’esperienza autentica con le persone con le quali condividiamo una passione. L’ossessione dell’uomo sportivo, la sua frustrazione, lo porta a un centimetro dalla Vittoria, ad assumere il doping, a comprarsi la partita, a sgambettare l’avversario. Ad ascoltare certi fatti di cronaca ci rendiamo conto che è sempre più lontana l’immagine la borraccia che passa tra le mani di Bartali e Coppi nel Tour de France del 1952. A livello di sport di vertice restano ben pochi riferimenti ai quali gli sportivi di base, ma anche e soprattutto i giovani, possono ispirarsi. In tutto ciò la frase con la quale meglio si riassume questo concetto, che lo rende più immediato è quella pronunciata dall’ex ginnasta olimpionico Jury Chechi in un incontro con Papa Francesco: “è meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca”. Vincere conta ma non a tutti i costi, non a costo di svilire la dignità della persona.