Chissà che fine avrà fatto il mio Commodore 64? Da quando il CIO ha dichiarato che i videogiochi competitivi possono essere considerati come attività sportiva il pensiero è andato a quel vecchio computer che si collegava alla tv e in 20-30 minuti “caricava” i giochi virtuali da un registratore a nastro. Quei pixel da un centimetro, quella grafica molto poco definita teneva incantati milioni di ragazzini e fin da allora il dibattito sull’impatto negativo dei videogames sulla psiche dei ragazzi era molto molto acceso.
Oggi l’affermazione del Comitato Olimpico Internazionale ha fatto sobbalzare molte persone e, soprattutto tra gli “addetti ai lavori” italiani, che spesso mettono/mettiamo in contrasto la sedentarietà dei videogames con il dinamismo delle attività fisiche e sportive, serpeggia una certa diffidenza. E’ stata riscontrata prima in Giappone e poi in tutto il mondo la cosiddetta sindrome Hikikomori nella quale i giovani si chiudono nella propria stanza in un utilizzo compulsivo di internet e videogiochi isolandosi con il mondo intero ma è anche vero che a far male, nell’utilizzo dei videogiochi, come in tutte le cose, è l’abuso, è l’utilizzo ossessivo a creare situazioni patologiche.
Sulla definizione di sport ho trovato in questi anni, anche da parte di accademici ed autorevoli esponenti, versioni molto interessanti alcune delle quali sostengono che sia sport qualsiasi cosa spinga un individuo a compiere un esercizio per migliorarsi. Ricordo che il giornalista Italo Cucci, ospite del CSI a Teramo nel 2009, dichiarò che per lui, alla sua età, poteva essere considerato sport imparare ad usare il computer.
Sport si o sport no, una cosa è certa: il mondo dei videogames riguarda la quasi totalità degli adolescenti, la gran parte giovani e un numero non residuale di adulti.
Come tale, agli Enti come il nostro che non si occupano solo di sport ma anche di attività del tempo libero non può non interessare questo settore sia per la sua grande popolarità ma soprattutto per assicurarci che tale mondo non subisca una ulteriore deriva commerciale e tenga in considerazione che il cosiddetto “utente” è una persona e come tale, nelle sue diverse fasi evolutive, non può essere assoggettato a contenuti e a stili di vita che portino ad assuefarsi alla violenza, alla dipendenza e all’alienazione.
Credo che bisognerà abituarsi all’estensione formale della definizione di sport a nuovi ambiti, che non possono certamente essere collocati tra le attività produttive, come alcuni giochi/tornei on-line che vivono una sostanziale deregolamentazione che, almeno in Italia, forse solo il mondo dello sport può offrire per dare garanzie di trasparenza e un inquadramento ai propri players professionisti che oggi operano in un limbo che non è utile a nessuno.
Con il coinvolgimento del CIO è risultato facile l’abbinamento giornalistico con le Olimpiadi, che certamente nessuno può escludere essendo il programma olimpico in continua evoluzione, ma che non è affatto facile e scontato essendo il settore degli eSport un mondo con protagonisti e dinamiche totalmente diversi, con una enormità di variabili. Con le premesse di cui sopra, quando si riuscirà a favorire il rispetto delle regole, certezza di garanzia e un percorso che tuteli la salute dei “nuovi agonisti” sarà forse il caso di creare delle vere e proprie eOlimpiadi, un evento a se stante che non vada a snaturare la propria dimensione e quella degli sport dove qualcuno ha ancora il piacere di sudare.